“Tutti al voto! Tutti al voto!”: la solita medicina che non cura i mali dell’Italia

di ENNIO SIMEONE – L’Italia è un paese in campagna elettorale permanente, non solo perché, per fortuna, 75  anni fa la Liberazione dal fascismo ci ha restituito il diritto di voto e lo ha esteso a tutto il popolo, ma anche perché la semplice chiamata alle urne per il rinnovo del consiglio comunale di una piccola città viene usato, da chi ha interesse a sbandierare il “cambiamento” (quale che sia), come appiglio per gonfiarne il valore e la risonanza.

Nel caso dell’Umbria l’operazione era più che prevedibile perché di appigli ce n’erano parecchi, anche se il corpo elettorale umbro equivale appena al 2 per cento di quello nazionale. Per brevità di ragionamento, ne ricordiamo soltanto tre: 1. i cittadini di quella piccola regione venivano chiamati anticipatamente alle urne dopo che la giunta regionale in carica, a guida Pd, si era dovuta dimettere per l’esplosione di una vicenda giudiziaria collegata alla gestione della sanità; 2. la consultazione si svolgeva subito dopo che si era formato – sulla base dello schieramento parlamentare uscito dalle elezioni politiche svoltesi appena un anno e mezzo prima –  un nuovo governo nazionale “atipico” perché sorretto da due forze politiche (M5s e Pd) antagoniste fino ad allora, una delle quali (il M5s) aveva governato per un anno e mezzo in sofferta attuazione di un contratto con altra forza politica antagonista (la Lega), e, addirittura, aveva contribuito a far esplodere quel bubbone giudiziario in Umbria; 3. queste due forze politiche, con le ferite dello scontro sul territorio non ancora cicatrizzate, si presentavano in coalizione sotto la bandiera di un  generoso “candidato civico” ingaggiato a poche settimane dal voto.

Secondo unanimi previsioni, tutto era possibile meno che questa improvvisata coalizione potesse avere una speranza di successo – in quel territorio – contro l’alleanza di centrodestra capeggiata dal più spregiudicato e roboante demagogo partorito dalla politica italiana sostenuto da un maestro sulla via del tramonto e da una emergente che nei suoi discorsi cita “gli italiani” come un mantra. 

Perciò non ha alcun senso agitare i duecentomila voti umbri come il segno di una volontà nazionale. Ma, soprattutto, non è ipotizzabile che si chiamino gli italiani alle urne per elezioni politiche nazionali dopo ogni risultato propizio ottenuto in elezioni amministrative locali. Come se dalle urne potesse uscire ogni volta la ricetta miracolosa in grado di guarire tutti nostri mali.

Eppure la fanfara è suonata e la musica è ripresa puntualmente e si ripeterà dopo ogni tornata elettorale che si svolgerà in qualche città o regione (ce ne sono in calendario altre tre o quattro nei prossimi mesi). E sarà una musica assordante fino a quando l’informazione di questo paese viaggerà sui canali televisivi e sui giornali che conosciamo, trasformatisi ormai, nella stragrande maggioranza, in megafoni specializzati nell’amplificare i toni  di chi la spara più grossa. 

        

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