di SERGIO SIMEONE*– Vladimir Putin con la sua orribile guerra all’Ucraina ha visto crollare la sua popolarità nei Paesi occidentali, che pure era molto elevata. Basti pensare che in Italia fino a qualche tempo fa era considerato, stando ai sondaggi, il più bravo capo di stato a livello mondiale, superato solo da Angela Merkel. Ma a mio parere con Putin è crollata non solo la sua popolarità ma anche una intera concezione politica che era diventata senso comune in una larga parte della pubblica opinione.
Con la più volte proclamata scomparsa delle ideologie, infatti, si era fatta strada in molti l’opinione che in politica i partiti andassero valutati non in base alle idee ed ai progetti che intendono realizzare, ma in base al valore dei leader che li guidano. E tra questi venivano apprezzati soprattutto quelli che sono in grado di assumere decisioni rapidamente. E’ chiaro che usando questo parametro vincevano a man bassa gli autocrati come Putin, liberi dai processi richiesti dalle deocrazie considerate vere e proprie pastoie. E un Salvini (sempre esagerato nelle sue “esternazioni”) si spingeva a dire che mezzo Putin vale due Mattarella.
In effetti non è vero che sono scomparse le ideologie, se queste sono intese come insiemi di idee che sono alla base di diverse visioni del mondo, sono solo cambiate rispetto a quelle del XX secolo. Ad ispirare Putin, infatti, nelle ultime insane decisioni non c’è , come pensano alcuni, il suo cattivo carattere o addirittura la sua follia, ma una ideologia che si compone di odio per la democrazia, intolleranza per la libertà di pensiero, nazionalismo esasperato che lo porta a non rispettare la sovranità degli altri Stati, disconoscimento dei diritti civili. Quello che non ha capito Salvini è che, perciò, non si può passare da un giorno all’altro da Putin a Zelensky. Non perché non si possa cambiare idea, ma perché, per rendere credibile e sincero il cambiamento, occorre prima criticare tutto il sistema di valori che Putin rappresenta, e non solo con le parole, ma con i fatti. La mancanza di questo doloroso ma indispensabile passaggio ha esposto il leder della Lega alla figuraccia planetaria fatta in Polonia, dove il sindaco (di destra) Bakun gli ha sventolato sotto il naso la maglietta con l’immagine di Putin, che lui era solito esibire a Roma e a Strasburgo.
Non si può dimenticare, a proposito di cambiamento di idee, infatti, che Gianfranco Fini, quando, dopo sofferta riflessione, decise di rinnegare il fascismo, indisse un congresso per discuterne con tutto il Partito. Salvini invece non ha fatto nemmeno una riunione di condominio. E non ha avuto nemmeno l’accortezza di uscire, in Europa, dall’alleanza con partiti e personaggi sovranisti ed euroscettici.
Ma il primo passo da fare per rendere credibile il suo ravvedimento probabilmente dovrebbe essere, secondo me, il cambiamento del nome del suo partito. Pensate: attualmente si chiama Lega per Salvini presidente, che dà l’idea di un partito costituito apposta per portare al governo una persona, cosa che non è venuta in mente nemmeno al dittatore nord-coreano Kim Jong-un, che è il capo di un partito che si chiama più modestamente (rispetto a Salvini) Partito del Lavoro della Corea. Se non fa questo passo c’è da aspettarsi che il prossimo sarà fare domanda all’UNESCO perché Salvini venga proclamato bene dell’umanità.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil
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