di SERGIO SIMEONE* – Quando si discute sul modo più rapido per arrivare alla fine del conflitto tra Russia ed Ucraina a me pare che si dimentichino due cose piuttosto ovvie, ma che, a quanto pare, non sono scontate:
1 – Non vi è inconciliabilità tra resistenza armata degli ucraini all’invasione russa e via diplomatica per arrivare ad una pace tra i due paesi, per cui o si intraprende l’una o si imbocca l’altra, ma esse sono strettamente correlate;
2 – Non esiste un’alternativa tra guerra e pace astrattamente intesa, ma tra guerra e tanti possibili tipi di pace. E il tipo di pace che è concretamente possibile realizzare in un certo momento è condizionato dal rapporto di forza che si è determinato tra i contendenti. L’abilità diplomatica ha, perciò, certamente un ruolo, ma questo ruolo non deve essere sopravvalutato, perchè non può prescindere dal rapporto di forza, che sarà a sua volta determinato da una serie di fattori: l’andamento delle operazioni belliche, la disponibilità di risorse economiche, la tenuta del fronte interno, la capacità di comunicare le proprie ragioni, quella di avere il sostegno di alleati e degli organismi internazionali.
Facciamo due esempi per capirci:
1. Poteva essere fermata l’invasione prima che l’esercito russo varcasse il confine ucraino? Certamente sì. Ma a quali condizioni? Per rispondere a questa domanda bisogna ricordare quale era il rapporto di forza esistente in quel momento, o per meglio dire quello percepito da Putin. L’autocrate, sulla base delle (fallaci) informazioni ricevute dalla sua intelligence, riteneva che l’esercito ucraino fosse praticamente inesistente, per cui l’armata russa sarebbe penetrata in Ucraina come un coltello nel burro, Kiev sarebbe caduta in pochi giorni e Zelenskj e il suo governo sarebbero fuggiti a gambe levate all’estero. Gli USA, ancora scottati dalla guerra afgana, si sarebbero guardati bene dall’interferire nelle vicende europee. Molti stati europei, divenuti dipendenti dalla Russia per petrolio, gas, grano, mais e materie prime, avrebbero speso alcune parole di condanna, senza fare granché (come dopo l’annessione della Crimea). Sarebbero poi intervenute le quinte colonne (i partiti populisti e sovranisti ampiamente foraggiati) che avrebbero influenzato a favore della Russia larghe fette della pubblica opinione. La pace che Putin avrebbe accettato allora sarebbe stata quella che avesse previsto (forse) la estromissione di Zelenky e del suo governo democraticamente eletto e la sua sostituzione con un gauleiter gradito a Mosca e la riduzione dell’Ucraina a stato vassallo della Russia, il riconoscimento della Crimea quale parte integrante della Federazione russa e quello del Donbass come Repubblica indipendente in attesa del suo ingresso nella federazione russa. Questo tipo, ovviamente, di pace non poteva essere accettato dall’Ucraina.
2. Quale tipo di pace sarebbe stato disposto ad accettare Putin dopo un mese di guerra? Anche questa volta per rispondere occorre esaminare il rapporto di forza che si era determinato tra Russia ed Ucraina: l’esercito ucraino aveva dimostrato una solidità ed una intelligenza tattica inaspettate, mentre l’ esercito russo si era rivelato di gran lunga inferiore alla fama di macchina bellica invincibile da cui era circondato prima della invasione; si era rivelato eccessivamente oneroso, se non impossibile, conquistare Kiev; Zelinsky aveva dimostrato di essere un capo di Stato estremamente coraggioso, e, soprattutto, uno straordinario comunicatore, capace di influenzare la opinione pubblica mondiale a favore della causa dell’Ucraina; gli USA, lungi dal girarsi dall’altra parte, avevano fornito un sostegno fondamentale agli ucraini mettendo a disposizione armi, addestramento ed intelligence; gli stati europei non si erano lasciati ricattare da Putin decidendo unanimemente dure sanzioni per metterlo in difficoltà sul piano economico; quanto alle quinte colonne, soprattutto i filo-putiniani (o ex) italiani (Berlusconi, Salvini e Meloni) lo avevano subito mollato ed erano rimaste a difenderlo solo alcune patetiche macchiette; l’esercito russo avrebbe dovuto ripiegare ad est del Dniepr.
A quel punto Putin sarebbe stato probabilmente disposto ad “accontentarsi” di una pace che prevedesse una Ucraina che rinunciasse all’ingresso nella NATO, il riconoscimento del ritorno annessione della Crimea alla Russia ed il riconoscimento della indipendenza delle autoproclamate repubbliche del Donbass.
Ma Zelensky, imbaldanzito dai successi militari e dal sostegno di tutto l’Occidente in varie forme, non credo che avrebbe accettato una pace che comportasse una simile mutilazione del territorio ucraino.
Questo potrebbe essere il momento giusto per tentare una conclusione negoziale equa, perché è ancora incerto chi dei due contendenti è in grado di prevalere nello scontro armato. Ma purtroppo non credo che ci sarà, perché Putin, per salvare il suo potere, deve dimostrare di aver conseguito con una guerra molto onerosa da tutti i punti di vista, un sia pure parziale successo. Quasi certamente occorrerà aspettare, perciò, l’esito del secondo attacco che la Russia lancerà nei prossimi giorni nel Donbass.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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