Anche nei cieli italiani volano ormai le “fake news” (tradotto: le balle; o, se preferite, le bufale; o, ancor più semplicemente, le bugie, e persino le bugie sulle bugie).
Se ne è parlato anche nei giorni scorsi alla Leopolda, l’ottavo raduno annuale fiorentino organizzato da Matteo Renzi per la sua esibizione tribunizia intervallata da entusiastiche acclamazioni dei suoi fans. E l’argomento piace pure (nessuno è perfetto) al pentastellato Luigi Di Maio.
Ma di che si tratta? Ce lo spiega brillantemente oggi sul “Fatto quotidiano” il direttore, Marco Travaglio, il cui editoriale merita di essere letto anche dai nostri lettori. Perciò lo rubiamo e lo riproponiamo integralmente.
Il titolo è “Bugiardi senza gloria”.
Ecco il testo. «Che il politico più bugiardo della storia recente, detto non a caso il Bomba fin dalla più tenera età, dichiari guerra alle fake news, è già molto comico. Che annunci una legge (tanto la legislatura è finita) per multare chi le diffonde (esclusi i presenti) e “un report quindicinale del Pd” per smascherarle (come se spettasse ai partiti accertare la verità), è irresistibile. Che le spacci per una grave turbativa delle prossime elezioni, come se non avesse in mano tutta la Rai e gran parte della stampa, è da scompisciarsi. Tipo il bue che dà del cornuto all’asino. O tipo il suo compare B. che passeggia sulla lingua di Fabio Fazio deplorando la piaga dell’evasione fiscale (dall’alto della condanna per frode fiscale), tuonando contro i parlamentari che cambiano casacca (lui che ne ha comprati a carrettate), accusando la sinistra di non aver evitato i danni dell’euro (partito nel 2002, nel pieno del suo secondo governo 2001-06), citando le “nostre esperienze conoscitive su minori immigrati” (tipo Ruby) senza un pigolio del sedicente intervistatore. Ma il meglio lo danno giornaloni e tv, maggiori produttori mondiali di fake news, che prendono sul serio i due ballisti supremi. E, per darsi importanza, si fanno scudo del New York Times, del Dipartimento di Stato Usa e del celeberrimo Atlantic Council di Washington.
Poi si scopre sul NYT l’articolo sulla Spectre Putin- Salvini-Grillo l’ha scritto un ex hacker di Anonymous, Andrea Stroppa*, consulente prima di Carrai e ora di Renzi. Il quale, forse per la giovane età, ignora che i migliori amici di Putin in Italia sono B. (che, dopo vari soggiorni nella famosa dacia, gli ha regalato un piumone votivo) e Renzi (che si oppose a nuove sanzioni alla Russia proposte da vari Paesi Ue, Merkel compresa). Così Renzi sventola il NYT, per darsi un tono internazionale e nascondere la manina del suo hackerino tascabile nei falsi allarmi sulle fake news grillorusse. E il report dell’Atlantic Council The Kremlin’s Troyan Horses (i Cavalli di Troia del Cremlino) sapete di chi è? Uno degli autori è Jacopo Iacoboni della Stampa, con un saggio molto pensoso sull’Italia putinista che cita in quattro note a pie’ di pagina gli articoli di Iacoboni. Del resto trattasi dello scopritore della centrale di fake news russo-casaleggiane capitanata da Beatrice Di Maio, la moglie di Brunetta. Perciò La Stampa lo considera un esperto di fake news: ieri il fake journalist anti-fake ha intervistato (si fa per dire: più che un’intervista, una respirazione bocca a bocca) il “brillante informatico” Stroppa, facendogli sputare un po’ di bile sul Fatto e sul sottoscritto.
Insomma, se la canta e se la suona. Ora, dopo aver sentito Stroppa per confermare le tesi di Stroppa, Iacoboni intervisterà Iacoboni per convalidare le teorie di Iacoboni. Il bello di questa batracomiomachia su un tema che non frega niente a nessuno, è che non si è ancora capito quali sarebbero le formidabili fake news in grado di ribaltare gli esiti delle elezioni. A parte, si capisce, quelle di giornali e tg contro gli oppositori sprovvisti di giornali e tv. Chissà se Renzi ricorda le prodezze della sua Unità (buonanima). Nel 2016, in piena campagna elettorale a Roma, sbatté sul sito il filmato di una ragazza bruna che cantava in piazza “Meno male che Silvio c’è” spacciandola per Virginia Raggi; poi si scoprì che non era lei, ma il direttore Erasmo D’Angelis rifiutò di rettificare e scusarsi perché “questo è giornalismo 2.0”. Nel 2013 invece l’Unità sparò un titolone cubitale su un inesistente “Patto Grillo-Berlusconi” (poi arrivarono i veri patti Napolitano-B., Letta-B. e Renzi-B.). Da allora si ricordano solo fake news anti-M5S (l’ultima è quella del Tg1, rilanciata da tutti i siti, su Di Maio che colloca la Russia nel Mediterraneo, mentre ha detto il contrario). Contro Renzi&C., manco mezza. Infatti si continua a citare il fotomontaggio su Boldrini e Boschi ai funerali (mai avvenuti) di Riina: un po’ meno credibile delle scie chimiche e dei rettiliani. Ieri però Repubblica ne ha scovata una terrificante del 2016: Agnese Renzi che dice “Mi spiace ma anch’io voto No al referendum”.
Ecco finalmente spiegato perché, il 4 dicembre, 20 milioni di italiani bocciarono la schiforma costituzionale: non perché aboliva l’elettività (ma non l’immunità) dei senatori, riempiva il Senato di sindaci e consiglieri inquisiti, non perché incasinava l’iter legislativo con una decina di sistemi diversi, non per l’astuta minaccia (anzi, l’allettante promessa) di Renzi di lasciare la politica in caso di sconfitta. No: perché un buontempone del web s’era inventato che Matteo aveva i gufi pure in famiglia. Ora, per carità, chi si è bevuto la fake news degli americani che votano Trump e degli inglesi che votano la Brexit perché subornati dalle fake news made in Russia, e non per la rivolta mondiale degli esclusi contro gli establishment, può credere di tutto: pure che Renzi abbia perso tutte le elezioni dell’ultimo biennio non per i fallimenti del suo governo, ma perché gli italiani credono alle fesserie di qualche webete. Se, anziché ai soliti camerieri e ai nuovi complottisti, si affidasse a qualche essere raziocinante, scoprirebbe i veri motivi della débâcle: la crisi che non passa, le tasse che non calano, il lavoro che non c’è, la casta che impone sacrifici agli altri, gli scandali Etruria, Consip, Expo, Mose, Mafia Capitale ecc., la gestione sciagurata dei crac bancari, le aspettative create con promesse così mirabolanti che non avrebbero soddisfatto nessuno neanche se lui le avesse mantenute. E, a gettare altro sale sulle ferite, il mantra del “tutto va ben madama la marchesa” che, lungi dal rincuorare chi sta peggio, lo fa incazzare vieppiù. Altro che fake news: il vero guaio di Renzi non sono le notizie false, ma quelle vere».
Marco Travaglio
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*LA REPLICA DI ANDREA STROPPA
Un lettore ci ha scritto sfidandoci a pubblicare la replica di Andrea Stroppa a Marco Travaglio, apparsa sul sito web di un giornale che s’intitola “Il dubbio”. Lo accontentiamo volentieri perché il testo che segue aiuta a capire meglio chi è il giovane “smanettone” al quale Renzi di affida per la sua singolare campagna contro le “fake news”.
«Sul Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, l’altro giorno ci si occupava di me alle pagine 1,2,3 compreso nell’editoriale dello stesso direttore.
«[…] Del suo amico Marco Carrai, che s’è messo in società con uno smanettone di 23 anni, Andrea Stroppa, che da minorenne faceva l’hacker per Anonymous Italia durante gli attacchi ai siti di Polizia, Carabinieri, governo, Viminale, Guardia costiera e – pensate un po’ – al blog di Grillo; perciò fu imputato e ottenne il perdono giudiziale dal Tribunale dei minori».
Apagina 2, un articolo a firma di Virginia della Sala e Carlo di Foggia viene scritto riguardo la mia persona «Non è un tecnico ma può contare su una notevole rete di relazioni».
A pagina 3, a firma di Wanda Marra vengo definito «esperto di cyber security».
Partiamo dalla fine, io non credo di essere un esperto, ma credo di saperne qualcosa in tema di cyber security. Dal 2013 ad oggi ho pubblicato numerosi paper e ricerche riguardo temi come le botnet, la contraffazione online, i malware. Il primo a 18 anni su The New York Times. Ho sempre lavorato con persone più brave di me e sono orgoglioso di aver avuto accanto persone che mi hanno insegnato molto, non soltanto dal punto di vista professionale. Solo pochi mesi fa ho pubblicato una ricerca su Associated Press, la quale, in una forma più privata e destinata ad al- tri soggetti, ha permesso l’individuazione di sostenitori dell’Islamic State in Europa. Ho avuto il piacere di confrontarmi con analisti dell’intelligence, ex veterani della CIA, consiglieri di importanti rappresentanti di altri paesi e alti dirigenti delle più importanti società tecnologiche statunitensi. Ho fatto anche altro, direttore Travaglio, molto potrà trovarlo attraverso Google. Non cerco da voi, né dagli esperti che consultate per attaccarmi, i vostri applausi. Agli “esperti” che continuano da mesi ad insultarmi dico solo: se siete più bravi sono contento per voi. Vi auguro tanta felicità e gioia nella vostra vita. Su una cosa però voglio essere chiaro: non mettete in dubbio la mia onestà, il mio onore, non permettetevi di infangare la mia persona.
Caro direttore Travaglio, sì, ho fatto parte di Anonymous. Avevo 17 anni, ho fatto degli errori, ho commesso dei reati e ne ho risposto di fronte alla legge. Di fronte a un tribunale, quello dei minorenni. Ho ottenuto il perdono giudiziale e ho ricominciato la mia vita facendo volontariato, costruendo la mia carriera con un lavoro lungo e appassionato. Nessuna scorciatoia: mi hanno proposto libri e interviste “ sull’hacker di Anonymous“, potevo prendere la strada della notorietà, ho scelto quella del sacrificio. Non ne ho mai parlato pubblicamente, non per vergogna, ma perchè io penso che dei miei errori sia stato corretto rispondere di fronte la legge, non di fronte a lei, a voi.
Come forse saprà, i minori sono tutelati dalla legge sulla privacy e tutto quello che riguarda i loro processi non deve diventare di dominio pubblico. Lo è diventato, prima con il libro di Belpietro “ I segreti di Renzi“, poi con un articolo di Fittipaldi su
l’Espresso e ancora oggi sul suo giornale.
Io non contesto “i guai giudiziari “ e guardi, non contesto, in questa sede, nemmeno il fatto di aver violato nuovamente la mia privacy: contesto le falsità. Non ho mai attaccato i siti di Polizia, Carabinieri, governo, Viminale e il blog di Grillo come lei scrive. E nemmeno il sito di D’Alema come ha scritto Fittipaldi. Sono andato di fronte al tribunale a rispondere alla legge italiana, per altri fatti. E questo come può intuire si chiama diffamazione.
Nel suo articolo afferma inoltre: «Del resto Renzi sospetta l’intervento di una ‘ mano’ russa. E chi gliel’ha detto? Una società di sorveglianza informatica. E di chi è? Del suo amico Marco Carrai, che s’è messo in società con uno smanettone di 23 anni, Andrea Stroppa». Non c’è nessuna società con Marco Carrai e io personalmente non ho mai parlato di “mano russa”. Anzi, le dirò di più: durante le elezioni americane ho pubblicato un report in esclusiva con Forbes dove documentavo che un importante numero di russi seguivano il candidato Trump e lo sostenevano attivamente, ma che non era possibile documentare nessun legame ufficiale con il governo russo. Altroché i suoi giochini linguistici. Inoltre vengo definito da una sua giornalista parte dei “ Carrai boys”, “ pupillo di Carrai“, e lo comprendo. Quando non si è liberi, si cerca di mettere le catene anche agli altri. Ma, mi dispiace per lei, per Carrai, e per tutti quelli che vengono citati. Io non appartengo a nessuno, appartengo a me stesso. Non ho bisogno della sua stima, penso che il mondo sia molto più grande de Il Fatto Quotidiano e non credo sia un caso se le mie ultime ricerche sono state pubblicate con il Washington Post, Associated Press, Wall Street Journal e non con il suo giornale. E le assicuro che non è un caso nemmeno il fatto che quando voglio capire di economia, tecnologia, cultura, geopolitica, non leggo il suo quotidiano. Grazie a dei think tankho avuto l’onore e il piacere di creare rapporti con intellettuali, esperti, scienziati: è con loro che voglio confrontarmi, è da loro che voglio imparare.
Caro direttore Travaglio, la coscienza è quella cosa che quando siamo soli ci guarda e non possiamo nasconderci. Mi auguro che lei possa affrontarla a testa alta. Buona domenica».
Andrea Stroppa
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