Via libera della Fda al farmaco che può rallentare il decorso dell’Alzheimer aducanumab

E’ arrivato oggi il via libera dell’Fda (Agenzia americana per gli alimenti e i medicinali) al farmaco contro l’Alzheimer aducanumab, dopo vent’anni di fallimenti della ricerca in questo campo, e di sicuro aumenta le speranze di milioni di pazienti in tutto il mondo, finora frustrate da centinaia di stop a terapie considerate promettenti. Secondo l’ente americano – che comunque ha chiesto un nuovo test clinico – la terapia messa a punto da Biogen ha le potenzialità per rallentare il decorso della malattia.

La decisione della Fda è stata presa nonostante l’opposizione della commissione indipendente di esperti dell’agenzia e di altri esperti in materia di Alzheimer secondo i quali non ci sono prove sufficienti che dimostrino che il farmaco possa davvero aiutare i pazienti. La terapia consiste in una iniezione al mese per via endovenosa che nella terapia contro l’Alzheimer contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stadio iniziale della malattia.

Si tratta del primo trattamento che interessa il decorso e non si limita ad aggredire i sintomi della demenza. “Siamo consapevoli dell’attenzione che circonda questa approvazione – ha affermato Patrizia Cavazzoni, che dirige il Center for Drug Evaluation and Research dell’Fda -.Sappiamo che la terapia ha generato l’attenzione della stampa, dei pazienti e di molti soggetti interessati”.

I ricercatori hanno valutato l’efficacia della molecola in tre studi separati per un totale di 3.482 pazienti. Gli studi consistevano in studi di dose-range in doppio cieco, randomizzati, controllati con placebo in pazienti con malattia di Alzheimer. I pazienti che hanno ricevuto il trattamento hanno avuto una significativa riduzione dose e tempo-dipendente della placca amiloide-beta, mentre i pazienti nel braccio di controllo degli studi non hanno avuto riduzione della placca amiloide-beta. Il prodotto di Biogen, stando a quanto dice la Fda stessa, è il primo trattamento unico nel suo genere approvato per il morbo di Alzheimer dal 2003 ed è la prima terapia che mira alla fisiopatologia fondamentale della malattia.

Quello di una terapia per l’Alzheimer negli ultimi anni è apparso come il ‘sacro Graal’ della medicina. Ancora nel 2018 un editoriale su Jama aveva censito 400 fallimenti di test clinici sull’uomo di potenziali terapie, con diverse multinazionali che avevano deciso in corso d’opera di abbandonare del tutto la ricerca in questo campo, e negli anni successivi le cose non sono andate meglio. Lo stesso test di adacanumab era stato considerato fallito in un primo momento, prima che un approfondimento delle analisi dimostrasse un certo beneficio sulla malattia allo stadio iniziale. Attualmente, si legge sul sito del ministero della Salute, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1 milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza, con conseguenze anche sul piano economico e organizzativo. Il problema ovviamente non è solo italiano.

Nel 2010 35,6 milioni di persone risultavano affette da demenza con stima di aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 4 secondi) e con una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di 4-8 anni.

Oggi è una giornata storica – commenta su Twitter il virologo Roberto Burioni -.Approvato da FDA il primo farmaco efficace contro il morbo di Alzheimer“. “E’ il primo farmaco dopo vent’anni che sembra poter aiutare i malati, ma non sarà per tutte le persone colpite da Alzheimer” spiega Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze-neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele Roma. “Questo nuovo farmaco” continua Rossini, “è il primo in grado di interferire con uno dei tanti ‘killer’, la proteina beta-amiloide ma per quello che ricordo ha potenziali effetti collaterali come microemorragie cerebrali. Chi lo farà ( stimo in Italia circa 100mila pazienti candidali se ci sarà l’ok dell’Ema e dell’Aifa) dovrà sottoporsi a risonanze magnetiche e aver documentato la presenza della proteina beta-amiloide“.

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